Ciao Claudio, prima di tutto raccontaci la tua storia. Come sei arrivato a lavorare in Germania nella Bike Industry?
Dopo la laurea in Ingegneria Aerospaziale nel 2012 ho cercato fin da subito lavoro in Italia in vari ambiti, dall’automotive all’aerospaziale.
Dato che in Italia la situazione in quel periodo era molto complessa sono stato costretto a emigrare in Germania nella speranza di avere più fortuna.
Dopo diversi tentativi con varie aziende sono entrato in contatto con Corratec e da qui è iniziata la mia avventura nella Bike Industry.
Prima con un’internship su sistemi di acquisizione dati e test di sospensioni, poi nel design e infine nello sviluppo.
C’è da dire che la Bike Industry non era la mia “prima scelta” ma è stata quella “fortunata” poiché mi sono trovato bene.
Infatti da quando ho iniziato ad andare in MTB a 18 anni con le prime full-suspension sono stato un grande appassionato del ciclismo sia in off-road che su strada e, salvo qualche interruzione durante gli studi, ho sempre cercato di coltivare la mia passione.
Com’è stato per te, da appassionato di MTB, finire a lavorare proprio sulle MTB?
Quando si inizia da studente in azienda è un periodo molto stimolante e da appassionato ti ritrovi sommerso di MTB, di componenti e di cose che andranno in produzione nel futuro.
Un vero e proprio “tuffo” in un mondo che da fuori risulta veramente impossibile da capire.
Per inciso: sebbene la mia laurea sia in Ingegneria Aerospaziale, avevo comunque fatto una formazione per essere anche un ingegnere di pista e quindi lavorare nel mondo delle competizioni.
A tal proposito mi viene in mente il mio primo lavoro in Corratec dove ho potuto collaborare allo sviluppo del sistema 10Hz.
Si trattava di un gommino posto in serie all’ammortizzatore ad aria allo scopo di rendere più attiva la sospensione (gommino + ammortizzatore) sulle basse frequenze di esercizio, tra l’altro era un sistema molto simile a quello che si vede applicato su alcune automobili.
Lo scopo principale del mio lavoro era quello di dimostrare che l’ammortizzatore ad aria a quella specifica frequenza di 10 Hertz non riusciva a lavorare mentre il “damper” in gomma sì. Il progetto ovviamente era in collaborazione con diversi marchi di sospensioni e attraverso un sistema di acquisizione dati siamo riusciti a dimostrarne il funzionamento. Furono sei mesi veramente divertenti: mi ero ricavato uno spazio all’interno del magazzino dove avevo costruito una serie di ostacoli che prendevo a tutta velocità e poi registravo i dati.
Dal 2019 lavori in Propain, com’è avvenuto il passaggio?
Dopo avere affrontato progetti molto interessanti come le MTB iLink 120 e la E-Power iLink 180 (l’ultima bicicletta da me progettata per Corratec ma che non ho avuto l’opportunità di vedere realizzata) dove ho sviluppato da zero tutta la bicicletta, e in particolare la cinematica Inside Link, ho sentito l’esigenza di nuove sfide.
Così dopo una applicazione online e due colloqui con Robert Krauss (il fondatore di Propain) sono stato accolto nel team.
All’epoca il Team era composto da solo tre persone: me, un altro ingegnere e Robert in veste di Ingegnere capo nonché sviluppatore di tutti progetti di Propain.
Quale è stato il tuo primo progetto in Propain?
Appena entrato in Propain ho iniziato fin da subito a lavorare sulla Spindrift Carbon ed essendo il team estremamente piccolo, mi sono occupato anche del design.
Ovviamente questa riprendeva le linee del prototipo della Tyee che all’epoca, nel 2019, doveva essere ancora presentata al pubblico.
A me sono sempre piaciute le MTB con tanta escursione come quelle da Downhill e Freeride (tra l’altro sono da sempre grande fan della Rockshox Totem 180).
Avendo tra l’altro già lavorato al progetto di una MTB con 180mm di escursione mi ha fatto entrare rapidamente nella logica di Propain dove ogni centimetro in più di escursione è sempre ben accetto.
Inoltre noi in Propain siamo sempre tentati di fare cose estreme votate al Freeride tanto che se progettiamo una trail bike, questa potrebbe affrontare un Rampage.
Propain Hugene, la Trail Bike del marchio tedesco che è effettivamente più vicina a una Enduro che a una Trail.
La Propain Spindrift è una Freeride che si riesce a pedalare veramente bene e senza quel fastidioso “pedal bobbing” avvertibile sulle MTB con tanta escursione. Come ci siete riusciti?
In quel caso fu una congiuntura di esperienza e intuizione. “Esperienza” perché all’epoca in Propain eravamo tutti MTB Riders e Robert ha anche un passato nelle competizioni. “Intuizione” perché abbiamo avuto l’intuizione di spostare l’ammortizzatore e ciò ha portato a un aumento della progressività della sospensione.
Questa soluzione è stata poi applicata a tutte le MTB e ha permesso di aumentare i valori di
anti-squat intorno al 110-120% a seconda dei modelli, con un considerevole aumento dell’efficienza in pedalata.
Quindi l’avere una piattaforma già molto stabile (che ovviamente avevamo già testato sulla Tyee) e un’idea chiara di ciò che si voleva ottenere (in particolare Robert come Lead Engineer) ci ha permesso di ottimizzare al meglio la cinematica per la Spindrift.
A proposito della Tyee, avete di recente presentato la nuova versione più radicale della precedente. Quali sono state le sfide?
E’ stata una sfida molto importante, prima di tutto perché il progetto è stato sviluppato durante il Covid19 con le relative difficoltà a organizzare le idee e il lavoro.
Comunque l’idea di base era quella di seguire il trend delle biciclette da enduro Long & Slack.
A ciò si è sommata l’idea ripensare la cinematica per accomodare nuovi ammortizzatori più ingombranti e voluminosi.
Per quanto riguarda il passaggio cavi integrato invece è stato abbastanza facile da riprogettare tanto che sul progetto della Spindrift era già stato fatto un miglioramento.
In ogni caso non è stato un taglio netto con il passato bensì tutta una serie di miglioramenti.
Se però guardiamo la scheda delle geometrie i cambiamenti sono stati molti e quindi il feeling sulla nuova Tyee 6 risulta molto diverso!
Sì, il feeling è molto diverso. Sostanzialmente però cambiare la guidabilità una bicicletta è molto facile: basta mezzo grado di differenza all’angolo sterzo e si cambia completamente la bicicletta.
Inoltre quando si apre l’angolo sterzo bisogna ovviamente allungare la bicicletta perché sennò il reach diventa troppo corto e porta ad avere una posizione di guida troppo arretrata.
Inoltre con la Spindrift abbiamo notato che l’angolo sella più verticale (intorno ai 78°) era nettamente più efficiente in salita, motivo per cui abbiamo scelto di adottare questa soluzione.
Abbiamo scelto di non toccare la lunghezza dei foderi carro inferiori rimanendo intorno ai 445mm perché abbiamo notato che è una misura che permette di avere un ottimo bilanciamento tra la centralità del rider e gli spostamenti di carico durante la guida senza quindi compromettere troppo la maneggevolezza.
Restando in tema di geometrie, sulla Tyee avete introdotto i Flip-Chips per variare la geometria. Potresti spiegarci meglio questa soluzione e se è stata difficile da applicare?
L’idea dei Flip-chips l’avevamo già sperimentata sulla Rage, dato che il Team di Downhill aveva la necessità di avere un setup mullet.
A dire il vero sulla Rage ci sono due Flip-chips, uno per il leveraggio e uno per variare la lunghezza dei foderi carro inferiori da 445mm a 460mm.
Si tratta di un’opzione semplice perché modifica solo l’altezza dell’asse posteriore che varia di 17mm circa per compensare la diversa misura della ruota.
C’è da dire che non bisogna essere estremamente precisi poiché il diametro della ruota varia anche in base alla copertura scelta dato che non sono tutte uguali.
Noi comunque il Flip-Chip l’abbiamo pensato per avere le stesse geometrie variando soltanto il formato ruota posteriore in modo da sfruttare tutti i vantaggi di una geometria aggressiva sia con la ruota da 29” (più stabile e scorrevole) che con una ruota da 27.5” (più agile e facile da accelerare) senza compromessi.
E’ possibile usare il Flip-Chip anche per “chiudere” la geometria della bicicletta migliorandone le caratteristiche nel pedalato. E’ un’opzione che sinceramente ho provato ma non è l’idea che avevamo in mente durante lo sviluppo.
In generale comunque abbiamo cercato di avere il sistema più semplice possibile perché il rider medio ama la semplicità prediligendo le soluzioni che permettono di perdere meno tempo nel setup e di divertirsi di più sui trail.
Sulla Nuova Tyee è stato introdotto un sistema di passaggi cavi integrati nella serie sterzo. Perché questa scelta?
L’idea è venuta dal Product Manager il quale ha appunto lo scopo di immaginarsi la bicicletta nel futuro anticipando le tendenze e seguendo le correnti.
Noi abbiamo trovato dei vantaggi nella soluzione, peraltro già ampiamente utilizzata nel ciclismo su strada, e abbiamo cercato di ottimizzarla in collaborazione con Sixpack Racing.
L’intento principale è stato quello di ridurre al minimo la manutenzione dato che sapevamo che sarebbe stata la parte più difficoltosa e complessa.
Va detto che tutte le soluzioni integrate all’interno della serie sterzo prendono ispirazione sempre da quella sviluppata da Across Components, noi abbiamo cercato di bloccare i cavi in modo che non si muovano e al contempo di proteggere il più possibile il cuscinetto superiore (rigorosamente sigillato in acciaio) con due guarnizioni di tenuta sviluppate appositamente per questa soluzione.
Comunque dopo aver provato più tipologie, alla fine abbiamo notato che senza la guida interna è più facile passare i cavi. Dovendo passare per forza all’interno del tubo obliquo, i cavi poi sono costretti ad uscire dalla serie sterzo.
Durante l’assemblaggio bisogna avere un po’ di manualità in più e magari tenere l’avantreno più basso per facilitare le operazioni.
Per l’utente finale l’operazione più complessa è soltanto la sostituzione del tubo freno dato che si è costretti a tagliare via l’ogiva per far passare il tubo esattamente come per altri sistemi di passaggi cavi interni.
Quindi il risultato è una linea più pulita della bicicletta, maggiore silenziosità perché i cavi sono bloccati e pochissima differenza per quanto riguarda la manutenzione.
Come vedi la MTB da qui a 10 anni?
Da qui a 10 anni è veramente tanto tempo, già 5 sono tanti. Sinceramente spero in un ritorno del Downhill e delle competizioni “gravity”. Quindi avere più circuiti, più professionalità nello sport e più agonismo. Ciò ovviamente vale anche per l’enduro.
Sicuramente l’elettrico avrà un ruolo fondamentale dato che è già qui e sta prendendo sempre più piede. C’è da dire che l’innovazione nelle E-MTB è molto più complicata dato che la Bike Industry è molto più piccola dell’automotive. Ciò implica che tutte le novità in questo settore andranno prima nell’automotive e poi nel ciclo. In particolare per quanto riguarda le batterie: ci sono pochi fornitori al mondo di celle per batterie e la priorità attualmente è l’automotive.
Invece per quanto riguarda le geometrie delle biciclette?
Sinceramente, credo che siamo quasi a un limite in termini dello sviluppo delle geometrie della bicicletta, mentre sulle cinematiche e sulle sospensioni c’è ancora tanto margine di lavoro e miglioramento.
Una bicicletta non può crescere di dimensioni all’infinito così come l’angolo sterzo non può essere sempre più aperto perché altrimenti guideremmo dei chopper (risata).
Non vuol dire che non ci sarà più innovazione, anzi, si cercherà sempre di più di dare un’ “identità” alla bicicletta e di seguire sempre meno le tendenze.
Sicuramente i materiali avranno sempre una grande evoluzione come anche il design e i metodi produttivi. Già la stampa 3D è una grande rivoluzione!
A proposito di stampa 3D, molti marchi stanno utilizzando questa tecnica per stampare le giunture e poi incollano delle tubazioni in fibra di carbonio. Cosa ne pensi di questo metodo?
Quindi in un ambito di sviluppo di un prototipo per le competizioni si riesce a fare in pochi giorni delle modifiche che richiederebbero settimane.
Si tratta comunque di una soluzione che è presente da “sempre” nel ciclismo, semplicemente è un’evoluzione di ciò che si faceva un tempo con i telai saldati attraverso la tecnica del fillet-brazing. Dal punto di vista commerciale a mio parere il mercato premia le biciclette belle e per il momento queste tecnologie hanno dei limiti estetici nel design che sono ancora da superare.
Hai fatto qualche gara amatoriale, com’è correre con una MTB progettata da te stesso?
Anche senza fare le gare è comunque un qualcosa di unico. Il bello dell’essere un progettista di MTB è avere la possibilità di sederti per primo su ciò che hai creato. In altri ambiti è una cosa praticamente impossibile dato che un progettista sviluppa solo piccole parti che andranno a comporre il prodotto finale.